Calma, fiducia, flessibilità e apertura.

La pratica Mindfulness per radicarsi e riconnettersi

Che tu conosca la mindfulness e la pratichi già da tempo, oppure che tu stia avvicinando alle pratiche meditative da poco, questo ritiro potrebbe fare al caso tuo. Di che cosa si tratta?

Due giorni e mezzo, dal pomeriggio di venerdì 24 marzo a domenica 26, immersi nella natura che circonda il Casale Pundarika in provincia di Pisa, che ci ospiterà, interamente dedicati all’ascolto di sé attraverso le pratiche meditative che ricadono sotto il nome di “mindfulness”. Il ritiro sarà condotto da me e dalla dott.ssa Ilaria Londi, entrambe psicologhe, psicoterapeute e istruttrici di mindfulness.

Per avere maggiori informazioni su organizzazione e costi contattami.

Per approfondire: che cosa è la Mindfulness

Il termine “mindfulness” è una parola inglese molto diffusa, tradotta in italiano in vari modi, come presenza mentale, consapevolezza, pienezza della consapevolezza mentale.

La mindfulness è l’esercizio della presenza piena e consapevole del momento presente, è quel luogo del corpo con cui possiamo imparare a stare in contatto, è il ritmo del respiro, che fluisce liberamente, è un invito a ricordarsi di sé stessi nel qui e ora dell’esperienza. È la pratica della gentilezza amorevole verso sé stessi, verso ciò che semplicemente siamo.

La mindfulness non è un’abilità cognitiva, “ma una modalità di essere che è sostenuta da un’attenzione non giudicante, non selettiva, nei confronti di sé stessi e degli altri, momento dopo momento” (G. Amedei, Mindfulness. Essere Consapevoli, Il Mulino 2013).

Può sembrare un concetto molto complesso, ma in realtà nasciamo in pieno contatto con il presente, in profonda interconnessione con gli altri e con il mondo intorno. Crescendo, spesso la ruminazione mentale prende il sopravvento, anche a causa delle pressioni che l’ambiente in cui viviamo esercita; la spinta alla velocizzazione dei processi mentali, alla fruizione di decine e decine di informazioni durante la giornata, la prestazione come unità di misura dell’essere, creano ingorghi di pensieri intrusivi, ruminanti e giudicanti, dai quali cerchiamo comunque di scappare, impiegando tante energie a cercare di non essere sopraffatti proprio da noi stessi.

Una pratica profondamente radicata nel corpo

La nostra salute psicofisica affonda le sue radici nella possibilità, per il nostro organismo, di mantenere l’omeostasi. Il termine omeostasi venne introdotto dal fisiologo statunitense Cannon nella prima metà del Novecento e si riferisce alla capacità dell’organismo di mantenere l’equilibrio nei propri sistemi fisiologici, attraverso fini meccanismi di autoregolazione, con lo scopo di adattarsi momento dopo momento alle mutevoli condizioni ambientali.

A metà degli anni Novanta, il neurofisiologo Stephen Porges ha elaborato la teoria polivagale, che descrive la regolazione omeostatica all’interno del sistema nervoso autonomo (SNA). Quando il nostro SNA percepisce una qualche minaccia oppure si trova di fronte a una sfida (stress), entriamo in uno stato di attivazione nervosa ortosimpatica che ci predispone alla fuga o all’attacco, permettendoci così di affrontare lo stress; quando il segnale di minaccia cessa, possiamo ritornare a un’attivazione di tipo ventro-vagale caratterizzata da calma, recupero delle energie, fiducia e apertura verso gli altri e il mondo. In condizioni ottimali, il sistema nervoso ortosimpatico e quello ventro-vagale si autoregolano in maniera omeostatica; tuttavia stress intensi o prolungati possono ostacolare l’omeostasi: se non riusciamo/possiamo affrontare quello che sta accadendo, il segnale di cessato pericolo non arriva e quindi non possiamo tornare a uno stato di calma e connessione. Quando accade questo, possiamo rimanere in uno stato di attivazione ortosimpatica per lungo tempo, ciò affaticherà oltre misura i nostri organi e potremmo sviluppare anche sintomi ansiosi. Quando questo stress diventa eccessivo e non può più essere tollerato dal nostro organismo, interviene il terzo tipo di attivazione nervosa, quella dorso-vagale, che possiamo vedere come una sorta di congegno salvavita che produce un black-out, cioè un collasso dell’organismo che porta alla disconnessione più o meno totale (attacchi di panico, stati dissociativi, svenimenti).

Negli ultimi decenni, a partire dalle teorizzazioni di Porges, diversi clinici, operanti in vari ambiti socio-sanitari, hanno messo a punto tecniche volte a facilitare l’omeostasi del SNA, alcune delle quali si rifanno alle pratiche mindfulness, e il cui focus è osservare ed esplorare i segnali del corpo che ci indicano in quale stato di attivazione nervosa siamo, individuare i segnali dell’attivazione ventro-vagale (quella della calma e della connessione) per ricercarli e utilizzarli per comunicare al nostro sistema nervoso che è tutto ok e che siamo al sicuro, così da riconnetterci con gli altri e il mondo.

In questa seconda edizione del nostro residenziale, abbiamo deciso di partire da qui: ascoltare e osservare il nostro corpo, farci “dire” da lui in quale stato di attivazione nervosa si trova e capire di che cosa ha bisogno per ritrovare la calma, la fiducia, la flessibilità e l’apertura. La pratica mindfulness è probabilmente uno degli strumenti più indicati per procedere su questo sentiero, soprattutto una pratica mindfulness profondamente radicata nel corpo.